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Visioni

Il potere della transmedialità del cinema permette di guardare oltre il consolidato rapporto con lo spettatore, per spingersi molto più avanti, tra la testimonianza diretta e la sua narrazione finzionale. Il vincolo con gli altri media e le arti in generale permette non solo un potere di rappresentazione di maggiore intensità, ma anche il suo stratificarsi come enorme contenitore di narrazioni storiche, sociali e generazionali. In tal senso la sua potenza evocativa è tale da potersi sostituire alla testimonianza diretta, di volta in volta ricreando e intessendo particolari legami con il vissuto non solo di chi guarda, del regista o di chi scrive il film, ma dell’intera storia dell’umanità.

La sezione cinema di questa edizione de I Racconti del Contemporaneo, non a caso intitolata in maniera altamente evocativa e metaforica Visioni, rientra perfettamente nel continuo dialogare tra le due direttive di riferimento dello Sguardo e dell’Ascolto e che inevitabilmente diventano Azione: culturale, mediale e soprattutto simbolica.

 

La visione (nel senso che ne dà anche Michel Chion) è allora possibilità di cucire nuove sensorialità, nuovi modi di vedere il passato, il presente e il futuro, nella forma della memoria e della sua delicata evanescenza. Le “visioni” proposte mirano a creare una fitta ramificazione tra le arti e i media, generando quel cortocircuito sensoriale, psicologico e (a volte perfino) corporeo capace non solo di confondere lo spettatore, ma sicuramente di affascinarlo, aprendo orizzonti interpretativi inediti e mostrandone l’enorme capacità fascinativa e onirica (richiamando Edgar Morin), trasformando il puro “guardare” in “esperienza” di senso e soprattutto di confronto, scambio, meltingpot sinestetico tra un medium e l’altro, giocando di volta in volta con l’intrecciarsi degli immaginari che si agganciano a loro. Il teatro nel/del/per il cinema allora diventa pretesto per raccontare le tensioni dell’uomo di spettacolo contemporaneo in Birdman o quelle socio-storiche con Il concerto; si trasforma in finzione, specchio, metafora del dramma della collettività di particolari periodi storico-sociali, come nel complesso La sera della prima. E la musica, che da sempre è la sorella perfetta della settima arte, si innesta come carattere testimoniale, dipingendo un’epoca, uno stile di vita, una città (che diventa “voce” nel corpo di Liza Minnelli) come in New York, New York di Martin Scorsese. Ma non ci sarebbe cinema senza l’attore e senza soprattutto il corpo dell’attore, che diventa strumento però nelle mani della danza, quella eterna, ammaliante e disturbante di Pina Bausch, che sotto la guida di Wim Wenders e del 3D di Pina diventa una visione “oltre” lo spettacolo stesso o corpo “narrante” di profondi stati emotivi, sempre in bilico tra innovazione e tradizione, dramma e psicanalisi come nella prova di forza de Il cigno nero di Aronofsky. Un racconto serrato e u(o)ltre-mediale, quello proposto nella settima edizione della rassegna che si apre con Fitzcarraldo, il sogno-opera per eccellenza di Herzog che vuole dimostrare, ancora una volta, che la potenza del cinema non è solo in chi lo fa, ma in chi ha la capacità di immaginare sfide che, solo in apparenza, possono sembrare sempre più impossibili.

Incontri, talk e cineforum, all’interno di Palazzo Fruscione, sono a ingresso gratuito, fino a esaurimento posti.
Consigliata la prenotazione on line su booking@tempimodernidee.com

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